Paolo Martin: il pensiero in tre dimensioni

Estratti di interviste al Maestro del design italiano, per conoscere una grande mente

Pubblicato il 19/07/2018

Manca sempre meno all'uscita ufficiale della nostra collezione di stampe autografate a tiratura limitata dei bozzetti di Paolo Martin; abbiamo già raccontato la carriera del Maestro del design in un articolo dedicato e oggi vogliamo lasciare che il grande designer parli per se stesso, riportando alcuni estratti di interviste fatte nel corso degli anni.

Paolo Martin: pensieri in tre dimensioni

Iniziamo con una domanda ispirata dal suo libro: Pensieri in tre dimensioni è la raccolta che racchiude i suoi principali successi creativi, qual è l'origine del suo desiderio di plasmare la materia e cosa significa pensare in tre dimensioni?

Ricordo, all'età di sei o sette anni, di aver visto un artigiano del legno fabbricare in poche ore delle sedie per mia nonna con quattro rami, un raschiatore e un succhiello; è stato uno spettacolo che ricordo come fosse avvenuto ieri, che mi ha lasciato estasiato. È da lì che ho iniziato a dare forma ai miei pensieri.

Pensare in tre dimensioni significa che quando immagino qualcosa, lo immagino già collocato nella materia; è per questo che chiamo i miei modelli Pensieri Tridimensionali. Il fatto che utilizzi il disegno come mezzo è per ricordare. 

Nel suo libro parla di come Michelotti – titolare dell'omonimo studio dove ha iniziato la sua carriera – sia stato per lei un padre, un Maestro, una persona a cui deve tutto; cosa le piaceva di quel posto e perché ha deciso di andarsene?

Ciò che mi ha sin da subito colpito di quell'abiente sono stati la genuinità e la freschezza con le quali si lavorava, un approccio al lavoro nobile che ormai si è perso.

È stata  per me un'esperienza iniziatoria, e il motivo per il quale ho deciso di andarmene non riguarda Michelotti ma la mia curiosità, la mia voglia di esplorare strade nuove ed espandere le mie conoscenze: la mia creatività aveva bisogno di nuovi canali, nuove esperienze. 

Qual è stato il principale apporto alla sua carriera da quegli anni nello Studio Michelotti?

I miei compiti iniziali consistevano nel fare la punta alle matite, cancellare, attaccare le puntine sul tecnigrafo o stendere i fogli di carta; era la mia prima esperienza ed era un mondo nuovo tutto da imparare.

È nello Studio Michelotti che ho imparato davvero a disegnare un'automobile, intendo un'automobile vera dove si possano aprire le portiere, far scendere i vetri, ribaltare le capotte: bisogna essere concreti perché il disegno in questo mestiere è un mezzo, il fine è la realizzazione nel prototipo nella materia

La soprannominarono anche "trovarobe"; di cosa si tratta?

L'arte del trovarobe è quella di adattare oggetti di uso comune per risolvere problemi in modo rapido, con ciò che si trova. 

Un trovarobe come me conosceva tutti gli ambienti di Torino come cortili, artigiani e rigattieri e dunque sapevo dove trovare le cose più impensate, era la mia specialità. Si è rivelato poi un approccio che mi ha salvato in numerose situazioni, mi è stato parecchio prezioso nella mia carriera.

Ad esempio, è così che ho risolto il problema delle sfere nella strumentazione della Ferrari Modulo: ho fatto un calco di una palla da bowling!

Paolo Martin: pensieri in tre dimensioni

E cos'è cambiato nella sua vita di designer entrando a far parte della grande Pininfarina?

L'ingresso in Pininfarina ha rappresentato l'importante salto dal piccolo artigiano all'industria: tutte le mie conscenze erano limitate a uno spazio ristretto, e in questo nuovo ambiente si sono improvvisamente dilatate. 

In Pininfaria ho avuto la foruna di avere carta bianca direttamente dal direttore Martinengo, una libertà che mi ha permesso di sfogare la mia creatività e comprendermi meglio nella mia professione: ho disegnato moltissime vetture e ho imparato a conoscere tanto i miei limiti quanto le mie capacità. 

Era un ambiente in cui è stato bellissimo lavorare: il lavoro veniva preso come divertimento, dunque non era per nulla competitivo.

Con Martinengo poi siamo stati una bella coppia, la sua passione per la pittura faceva sì che vedesse le automobili in chiave poetica. 

Arriviamo agli anni della Dino Competizione, una delle sue creazioni alle quali è più affezionato; perché è per lei così importante?

La Dino Berlinetta Competizione è stata la mia prima automobile, con il disegno realizzato sul tecnigrafo in camera da letto e il modellino sul balcone di casa: l'ho vissuta in maniera viscerale.

Un giornalista della Revue Automobile l'ha definita uno dei più begli oggetti che l'uomo abbia disegnato perché esprime felicità, e quella felicità è probabilmente quella che ho provato io nel progettarla. A me piace per la sinuosità, per le proporzioni armoniche; anche l'idea del tettuccio-porta è un elemento che rende la vettura semplice in modo originale. 

Pensando anche solo ai sopracitati, i suoi modelli sono piuttosto diversi tra loro per forme e personalità, con pochi elementi distintivi della sua mano; come mai?

La ragione è da ricercarsi nel mio carattere curioso e volubile e dunque le mie auto e i miei oggetti non seguono un archetipo fisso, è per questo che mancano gli elementi distintivi. 

A me piace inventare, e inventare è un'esperienza sempre nuova. Trovo poi che questa libertà mi rispecchi.

Paolo Martin: pensieri in tre dimensioni

Dopo Pininfarina arriva la libera professione, come commenta questa scelta?

Come sottolineato, è stata una mia scelta ed è stata dettata dal desiderio di sperimentare ancora; anche la Pininfarina iniziava a starmi stretta. Presi questa decisione dopo un contratto con la Piaggio che mi garantiva la stabilità sufficiente. 

Mettersi in proprio richiede coraggio e sfacciataggine, ma sicuramente si guadagna molta esperienza e la libertà di decidere, elemento importante per un creativo. Bisogna sapere cosa si può dare e poi farlo. 

Paolo Martin: pensieri in tre dimensioni
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